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Alvaro Masseini

Le INTERVISTE di PIPAM
di Valerio BALBOA Santagostino

Valerio “BALBOA” Santagostino pone le sue domande a:

ALVARO MASSEINI


www.alvaromasseini.com/


Masseini


BIOGRAFIA

Alvaro Masseini è nato a Scarperia (FI) nel 1948, ma vive sulle colline del lago Trasimeno, uno specchio d’acqua che ha molto amato e continua ad amare.
Laureato in storia economica, attivo nei movimenti degli anni Settanta e poi nell’associazionismo ambientale, ha insegnato storia e filosofia nei licei.
Appassionato di viaggi in gran parte legati alla pratica della pesca a mosca è stato giornalista pubblicista e ha collaborato con riviste di settore italiane e straniere.
Ha iniziato a pescare nel più classico dei modi, a 10 anni, nei torrentelli vicino a casa.
Ha fatto tutto il percorso, senza saltare un anello, dalla canna fiorentina fissa con bigattino, alla pesca al tocco sull’Appennino (-“ma sciupavo parecchio pesce”-…mi ha confidato), e per finire, al cucchiaino.
-“Covavo però una certa insoddisfazione e non ne sapevo il motivo”-
A trentacinque anni approda finalmente alla mosca, la tecnica che più si avvicinava e rispecchiava il suo stile di vita.
-“Non ne sapevo nulla”- mi dice, -“ma un amico mi portò nel negozio dove lavorava Pragliola”- e da quel momento è rimasto folgorato...
Il suo fu un inizio molto forte, intenso. Entrò infatti come giornalista nella redazione di Pescare all’AIPO nel 1985, dopo un inverno di quelli che si ricordano come uno dei peggiori del secolo scorso.
Freddissimo, con l’Arno che si era ghiacciato, seguito da un’estate siccitosa e una conseguente moria di quasi tutti i pesci del tratto cittadino, attorniato oltretutto da personaggi dalle personalità molto forti, come Roberto Pragliola, Piero Lumini, Roberto Daveri, che potevano in qualche modo anche intimorire il neofita.
Ma fu l’inizio di uno splendido cammino, ricco di soddisfazioni, che dura ancora adesso.


V:  Alvaro, ma non hai mai fatto un corso di lancio?

A:  No…purtroppo, ed è stato un errore, anzi, il “classico” errore. Un amico mi portò subito in acqua, sulla Sieve, che scorreva a pochi minuti, ma senza i rudimenti non fu un buon inizio.
Per eliminare gli errori ci vuole poi tempo. Ho iniziato nel modo sbagliato, lo ammetto.
Ero impegnato in altre cose, avevo una bambina piccola, frequentavo associazioni ambientaliste, avevo la scuola che mi impegnava moltissimo. E poi non avrei potuto materialmente. La sera, dopo cena, quando cioè si aprono le palestre o i club, io facevo i corsi serali chiamati “150 ore”. Erano rivolti a lavoratori che durante la giornata non potevano studiare. Figurati che finivano anche oltre le 23. Questo lavoro mi piaceva però, rimandavano un bel calore.
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V:  Allora Alvaro, se i miei calcoli sono giusti, con questo tuo ultimo libro sei uno degli autori più prolifici d’Italia sulla pesca a mosca, ben 11 libri!

A:  A onor del vero non sono tutti sulla pesca a mosca.
Ne ho scritti tre sul lago Trasimeno, un lago straordinario, molto pescoso, che da da vivere ancora a 70/80 pescatori professionisti, con circa 2000 quintali di pesce l’anno pescato.
Nel libro del 2015 “Pescatori del Trasimeno” ho intervistato ventiquattro pescatori, l’ittiologo che gestiva il Centro Ittiogenico ed ho montato un video raccolto in un CD allegato al volume, un’opera importante insomma.
Il secondo su questo lago è un libro prettamente fotografico.
Il terzo l’ho scritto sulla storia del rezzaglio. Un sistema di pesca molto efficace e molto diffuso nel mondo. Questa rete, nel Trasimeno, ha una storia specifica e anche il nome dello strumento è diverso, lo chiamano giacchio.
L’Umbria è una delle poche regioni d’Italia senza accesso al mare, quindi ha una storia “chiusa”.
Nel libro l’ho messo a confronto con il rezzaglio, una rete simile usata a Bocca di Magra, in Liguria, venuta quindi dal mare. Il rezzaglio è abbastanza differente, essendo cinque volte più grande del giacchio umbro. Con un movimento simile al lancio del martello il pescatore ligure distende una rete coprendo una superficie dagli 80 ai 110 metri quadrati!
Se calcoli che bagnato pesava oltre otto chilogrammi ti lascio immaginare che pezzi d’uomini erano coloro che lo usavano. Oggi questa pesca è rimasta solo a livello sportivo e con i nuovi filati il peso non supera i sei chili.
Per fortuna c’è Atos Giovannelli, un ingegnere in pensione, che, per mantenere viva la tradizione, costruisce ancora queste reti e fa corsi di lancio. Pensa che impiega 7-8 mesi e annoda tutti i fili a mano, prendendo spesso all’estero i fili sintetici necessari.
Essendo ingegnere ha cercato anche di descrivere la dinamica di questo movimento con precise formule della fisica.
Se ci pensi, per distendere una rete su una superficie più simile a una piazza che a uno spot di pesca, ci vuole una tecnica e dei gesti perfetti.
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Giacchiata perfetta al Lago Trasimeno

V:  Il libro sulla Pam che ricordi più volentieri o che reputi una pietra miliare?

A:  Ho visto che i nostri autori hanno quasi sempre privilegiato l’elemento tecnico. Hanno scritto cose molto belle, ma tecniche, che con il tempo ho trovato meno accattivanti.

V:  Dai, dimmene almeno uno!

A:  Il libro che mi è piaciuto di più è stato “Anelli sull’acqua” di Renzo Dionigi, del 2004.
Prediligendo la parte letteraria, mi sono piaciuti i racconti sulle giornate di pesca, la ricerca dei testi antichi con gli originali in greco e latino a fronte, la ricerca iconografica minuziosa, la cura dei particolari e infine il pregio dell’edizione.
Ricostruisce, con un lavoro di molti anni, pezzi importanti della storia della pesca a mosca in modo mirabile.
Degli stranieri, soprattutto De Boisset. Sapevo bene il francese, quindi riuscivo a capirlo a fondo. Mi piace leggere di questo signore che negli anni Trenta parte da Parigi, in automobile, e che dopo molte ore arriva a Charette dove vive la coppia Chamberet, pescano insieme sul Doubs, catturano gli insetti, li mette nelle boccette, le riporta a Parigi e le manda a un suo amico entomologo per la classificazione.
La stagione dopo ritorna con documenti e disegni a Charette e lì cominciano i tentativi per la costruzione delle mosche che saranno immortalate nella “Serie Gallica”, artificiali con cui tutti quelli della mia generazione abbiamo pescato.
E poi, nonostante appartenesse all’alta borghesia, mi sembra che allora facesse l’avvocato o addirittura il magistrato, poteva benissimo portarlo in quell’epoca a simpatizzare per il fascismo, invece De Boisset era un liberale e per di più anticlericale…e questo me lo rende ancora più simpatico...
Cito anche una delle sue frasi storiche all’inizio del suo libro più importante del 1939 Les Mouches du pecheur de truites -“Non volevo incontrare un prete in quei 200 metri che mi separavano dalla macchina. Se l’avessi incrociato, sapevo già come finiva la giornata”-
Voglio ricordare che ne ho una copia della prima edizione che mi regalò molti anni fa Piero Lumini.
E con questo nulla da togliere ai Veniard, ai Goddard, dai quali ho appreso le prime ricette costruttive.

V:  Un altro libro, ma nostrano?

A:  Mi è piaciuto “Le mosche artificiali” di Luciano Tosi, del 1981. E ho imparato a costruirmi le mosche perdendo ore e ore sul libro di Piero Lumini “Manuale del costruttore di mosche artificiali”.

V:  Concordo, un capolavoro, non penso ci sia un pescatore a mosca italiano che non l’abbia letto o almeno sfogliato una volta. A proposito, c’è una foto, nell’ultimo libretto di Lumini sulla Mongolia, dove ci sei anche tu.

A:  Pensa che Piero mi chiamò prima di fare l’ultimo viaggio importante. Era già malato, ma lo voleva fare a tutti i costi con gli amici di sempre. Mi chiamò perché sapeva che c’ero stato più di una volta. Venne a trovarmi con Daveri ed altri suoi amici a Passignano sul Trasimeno, gli detti dei suggerimenti e…gli andò molto bene, anzi meglio a loro che a me!
La cosa mi fece, ovviamente, molto piacere. Piero, oltre a essere una gran persona, era anche molto generoso. Mi ha regalato molti dei suoi libri. Con lui ho collaborato per dieci anni nella redazione della rivista Pescare.
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Sul Trasimeno con Lumini, Daveri e gli amici del viaggio in Mongolia

V:  Hai visto molti continenti e pescato in decine di posti. Ti manca ancora qualche luogo che ti piacerebbe vedere?

A:  Guarda Valerio che io non ho pescato dappertutto, perché ho cercato di approfondire la conoscenza dei luoghi nei quali ero già andato.
Non mi piace “scivolare” sopra le situazioni. Ti faccio un esempio: sono stato quattro volte in Patagonia, ma mai nello stato più a Sud quello dove scorre il Rio Gallego per intenderci, con trote di mare da 10 chili, come pure in Terra del fuoco.
Mi sono sempre “fermato” nella zona del Rio Negro, Chubut, Neuquen. In altre parole ho sempre cercato di aumentare la conoscenza non in espansione ma in profondità, incontrare la gente, cercare un contatto, capirne i costumi, le tradizioni.
Quando smetti di correre scopri anche i fiumi minori, quelli che non appaiono sulle riviste internazionali e che spesso sono pieni di pesci!
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Gaucho Mapuche, sullo sfondo il cono imponente del vulcano Lanin

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Le strade solitarie della Patagonia che attraversano per migliaia di chilometri le steppe aride e che si fondono con i cieli cangianti sopra di loro.

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Le simpatiche insegne stradali della cittadina di Junin de Los Andes.

V:  Siamo in epoca di Covid. Tu che hai visto l’Oriente e vivi in Occidente, pensi che i nostri governi, i nostri mezzi di informazione e i nostri sistemi sanitari possano, in futuro, riuscire ad avvicinarsi a quei governi dell’Asia, tipo Sud Corea, Singapore, Taiwan, Giappone che, memori della Sars, hanno allestito un piano sanitario d’emergenza che dura da quasi vent’anni, cioè dall’ultima pandemia e che ora è tornato utilissimo?

A:  Domanda molto difficile e complicata.
Non conosco i sistemi sanitari dei paesi che citi, se però il riferimento è a quelle App in grado di controllare in ogni momento della giornata una persona, sicuramente sono strumenti efficaci per debellare una pandemia, ma lo possono essere anche per controllare e reprimere in altre occasioni una persona, o gruppi di persone, da parte di un potere dispotico e repressivo. George Orwell in “1984” l’aveva già previsto….
Posso dirti anche che la lezione che vuole darci la pandemia non l’abbiamo imparata del tutto.
Non siamo ancora stati capaci di mettere a frutto quelle che sono le indicazioni che vengono da questa dura prova. E’ un vaso di Pandora che noi abbiamo aperto. La responsabilità è solo nostra. Per mangiare l’ultimo hamburger, per estrarre l’ultimo olio di palma, abbiamo devastato il mondo. Abbiamo aperto la porta a questi virus, ben custoditi dalla terra e dalle impenetrabili foreste pluviali.
Se distruggiamo gli ultimi scrigni e facciamo uscire quello che c’è dentro, subiremo sempre queste catastrofi.
Come la prima volta nelle Americhe. Portammo le nostre malattie e fu un ecatombe per gli indigeni. C’è una novella pubblicata da Einaudi, “L’assemblea degli animali”, leggila.
E’ un bell’insegnamento per come comportarci in futuro.
Dobbiamo prendere decisioni in discontinuità con il passato e a questo giro ce lo stanno dicendo i ragazzini in maniera pacifica, in tutti i continenti, oltre che migliaia di scienziati, compresi quelli della Nasa.
Se non lo capiamo nemmeno questa volta temo sarà durissima per noi tutti.
Il tempo è pure limitato, non dobbiamo perdere questo treno.

V:  Torniamo a temi più leggeri. Preferisci pescare in acqua dolce o acqua salata?

A:  Il mio “imprinting”, essendo nato sull’Appennino, viene dal torrente, dall’acqua che scorre, dalle trote, e questo rimane scolpito dentro di me.
Devo ammettere che andando in là con gli anni, pensare di portare uno dei nostri Marzi, freddi e ventosi, a Cuba, dove potrei pescare pesci meravigliosi in braghe corte, mangiare alla sera un parago pescato da me, è una prospettiva da non sottovalutare. In tempi andati per anni l’ho potuto fare...
In mare sei leggero, quasi un uccello, con una temperatura magnifica, e poi quei pesci, che tirano come treni….!

V:  Hai mai dovuto affrontare una brutta situazione in uno dei tuoi viaggi di pesca?

A:  Direi di no, sono stato fortunato.
In almeno 2-3 casi si è toccato posti molto difficili e impegnativi, dove dovevi mantenere lucidità, una attenzione mentale e una condizione fisica importanti.
Anche discendendo i fiumi dell’Alaska, o nel cuore siberiano della Mongolia non ho mai avuto paura, ma non sono neanche incappato in pericoli degni di nota.
Merito anche delle persone con le quali sono sempre andato in viaggio.
Nella floatrip in Alaska ad esempio ero con dei compagni canoisti molto validi ed esperti. C’era pure un bravo medico tra di noi, con il minimo di attrezzatura per il pronto soccorso.
Se ci ripenso, mi vien da ridere…...pensa che il filo di sutura che si era portato dietro è servito per cucire il gommone che si era bucato a causa dei legnetti acuminati che i castori lasciavano sulle rive.
In definitiva, comunque, devo ammettere che ho avuto fortuna.
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Saluto al pilota dell’idroplano, inizia la discesa dell’Aniak River, in Alaska

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Trota alaskiana che non ha resistito a un topo in pelo di cervo

V:  Un rimpianto?

A:  Non lo definirei un rimpianto. Mi dispiace solamente di essere arrivato tardi alla pesca a mosca. Avevo 35 anni e se ci fossi arrivato 15 anni prima, avrei trovato un altro panorama.
Avrei trovato i fiumi degli anni 60-70, ben diversi da quelli degli anni 80 e 90.
È andata cosi, ma comunque pescavo lo stesso piacevolmente. Pensa che con un mio amico più anziano dormivamo per terra nei seccatoi (ndr: piccolo edificio in pietra adibito all’essiccazione delle castagne) sull’Appennino, per arrivare per primi a pescare all’alba.
Le prime trote catturate venivano fasciate con delle foglie di felce, quelle successive, in uno strato di primule! Che bei riti!

V:  Se non abitassi sulle colline tosco-umbre, dove vorresti essere fra i mille paesi che hai visitato? Mi sembra di aver letto nel tuo sito che hai una forte simpatia per l’Andalusia.
Come mai? E’ famosa per il sole, il mare e se non mi ricordo male, anche per le sue belle fanciulle, ma non proprio per le sue acque.


A:  E’ un bel posto per la primavera costante, per l’affabilità delle persone, per il loro carattere meridiano.
E’ simile al nostro Sud, ma non sciupato dalle mafie.
L’ideale sarebbe 7- 8 mesi in Andalusia, a Siviglia, con quel profumo fantastico di arance e mandarini lungo i viali della città e il resto nelle Asturie o nel Leon al Nord della Spagna.
Tra l’altro regioni magnifiche per pescare a mosca. Anche lì mi sentirei a casa, perché è molto simile al Trentino, regione dove Sandra e io abbiamo percorso quasi tutte le ciclabili pedalando in lungo e in largo

V:  Appunto, ho visto che hai la fortuna di avere due compagni straordinari d’avventura: Sandra e Ginger…

A:  Si, davvero, ma Sandra non pesca però, mentre Ginger sul Gacka è venuta più volte.
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Sandra e Ginger, che guarda con interesse le bollate del Gacka

V:  Ma come? In alcuni dei tuoi libri ci sono delle sue foto mentre sta pescando?

A:  La verità è che, quando glielo chiedevo, si prestava a farsi fotografare, mi vuole bene ed è molto paziente.
Lei ha un rapporto con gli animali molto più forte del sottoscritto. Il suo è un vero cuore da animalista, ha una grande sensibilità al riguardo e col tempo devo dire che mi ha…contagiato!
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Sandra sulla Krka

V:  Peschi anche in acque “domestiche”?

A:  Certo! Non sono un esterofilo a tutti i costi. Negli ultimi anni ho rifrequentato il Volturno e i suoi affluenti e poi qualche torrente minore dei Sibillini, e in estate la Valsesia.
Anche quest’anno avevo fissato una casetta a Varallo, ma con il Covid ho avuto paura, e non ci sono andato.
Negli anni passati andavo almeno tre volte l’anno sul Gacka.
È un fiume da “vecchi”, come dice un mio amico...
Sei leggero, ti porti un giubbotto essenziale, usi solo dei cosciali, stai sempre a piede asciutto. In cielo e in acqua ci sono tanti uccelli, c’è la solita mucca che pascola nel prato, le greggi di pecore, come 40 anni fa.
Non è lo stesso di allora ma ancora qualche emozione me la da…e poi ci vanno poche persone, e anche questo mi sembra un valore aggiunto.
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Mulini ancora funzionanti del Piccolo Gacka

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Il ponte di Mostar ricostruito

V:  Mi sono fatto una promessa Alvaro. Il Gacka, che forse è uno dei pochi grandi fiumi europei che mi manca, sarà la prima meta post-Covid, e ci andrò con i miei amici Riccardo Carrara e Gigi Rizzo, che ne conoscono ogni filo d’erba. Ti piace costruire?

A:  Si molto. Non ho certo raggiunto livelli alti e molti dei miei amici sono assai più bravi, ma tutte le mie mosche me le sono fatte da solo.
Prendere un pesce con una mosca che ti sei costruito…è un’altra cosa.
Confesso di non capire molto chi va per fiumi da trent’anni e non si è mai seduto davanti ad un morsetto. Secondo me si è tolto una buona parte del plaisir de la pêche.
Se vado in un posto nuovo, mi fermo in un negozio e compro una decina di moschette da provare. L’ho sempre fatto. A casa poi, quelle che hanno funzionato meglio, le rifaccio al morsetto.
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Momenti felici di costruzione

V:  Permettimi, Alvaro, una domandina un pochino più graffiante. Avverto sempre, nei tuoi scritti, un certo retrogusto di un certo colore politico, forse un pò troppo acceso…come mai?
L’ho avvertito moltissimo in questo tuo ultimo libro “Controcorrente”, dove veramente, per tutta la tua vita, sei andato controcorrente.
E io, pur essendo di un colore molto più edulcorato, ammiro questa tua qualità, la coerenza, che ho sempre considerato la “virtù dei forti”.


A:  O degli imbecilli, come dice qualcun altro
E’ un libro in cui, per la prima volta, metto a nudo l’autore.
Non mi nascondo mai, magari raccontando in terza persona…ma sono io. L’autore finalmente si è mostrato.
Ho cercato di descrivere tutto il processo della mia formazione culturale di cittadino, prima che di pescatore a mosca, compresa la mia sensibilità politica.
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Poi i tempi sono cambiati. Ma questi occhiali che ho inforcato negli anni dell’impegno politico mi sono rimasti addosso.
E quando, nei Balcani, dopo la guerra che ha martoriato quelle terre, sono andato a pescare e tra un fiume e l’altro incontravo 30-40 case distrutte, bruciate, o leggevo cartelli che ammonivano di non uscire dal viottolo per le mine, qualche domanda me la sono fatta.
Perché in posti quasi confinanti con il nostro paese e che conoscevamo si era potuto arrivare a tanto? Pulizie etniche, stupri, torture…all’interno della stessa famiglia spesso...
Ci ho riflettuto. Ma credo che chiunque ci rifletta.
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Otocac (Croazia) palazzo Comunale, con ancora i segni della guerra (1991-1995)

Vengo da una famiglia operaia, che ha avuto delle difficoltà, ma ho avuto la fortuna che la mia giovinezza ha coinciso con una grande espansione economica e con un grande volano sociale.
Mi spiego: anche l’operaio “voleva il figlio dottore”. Quindi sono sempre stato a sinistra, con i suoi valori.
Per dirla chiara fino in fondo la “mia” sinistra non aveva simpatie per i regimi grigi e repressivi del blocco Sovietico.
La ex Jugoslavia era diversa: passavi la frontiera con una semplice Carta di Identità, campeggiavi dove volevi, ti spostavi liberamente con la tua auto e non avevi l’impressione di essere oltre la “Cortina di ferro”.
E anche quando la sinistra è scomparsa, sono rimasto fedele ad alcuni suoi ideali, come l’uguaglianza sociale, senza la quale non esiste neppure la fraternità, e anche poca libertà.
Una parte di quei valori uniti a quelli nuovi della cultura dei Verdi li ho ritrovati nelle associazioni dell’ambientalismo, ad esempio prima in Lega Ambiente e poi in Greenpeace.
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Manifestazione di protesta di tre pescatori, Alvaro (con i baffi), Vinicio e Roberto. Firenze, Aipo 1985.

V:  Anni addietro, su Pipam, era uscito un TRD in cui si domandava se la pesca a mosca era di destra o di sinistra. Se non ricordo male il sondaggio era finito pari e patta. Destra o sinistra per te?

A:  Divertente come domanda. Se la faceva già in modo ironico Gaber molti anni fa e anche in questo caso, destra-sinistra non credo che siano categorie adatte a farci capire. Cerco di risponderti in maniera seria. Non ho dubbi sulla sua collocazione.
E’ una tecnica che se fatta nel modo giusto è schierata dal lato dell’ambientalismo e del conservazionismo, perché si prende cura degli ambienti naturali ed ha rispetto ed empatia con gli animali, non ama gli allevamenti intensivi, è poco competitiva e poco inquinante, privilegia la qualità sulla quantità, non ama la velocità.
Spesso chi corre meno sul fiume prende anche più pesci e proprio queste sue caratteristiche non mi sembra che coincidano con i “valori” della destra. Lo diceva anche Pragliola 40 anni fa: -“ Dal gesto di rimettere in acqua il pesce tu capisci che hai a cuore la salubrità del fiume”-

V:  Leo Longanesi però diceva -“ Cercavano la rivoluzione, hanno trovato l’agiatezza”-…un pò come il Ministro da te descritto nel libro (ndr: -“dimentico di tutto ciò che professava”-).
E ti posso assicurare che conosco centinaia di persone che predicano certi principi elevati e supremi, che tra l’altro non dovrebbero neanche avere un colore politico, e poi si comportano nell’esatto contrario.


A:  Fra il dire e il fare….c’è sempre stato il mare di mezzo.
E, come diceva Camus, da molto tempo non ci sono più ciechi o ingenui ma solo complici. Aggiungerei di mio che non tutti hanno lo stesso grado di complicità e quindi di responsabilità per lo sfascio che stiamo vivendo.
Personalmente non ho corso quel pericolo cui accennavi, perché io i soldi non li ho cercati né fatti, quindi non ho dovuto rinnegare nulla.
Allo stesso tempo ho fatto una buona vita.
Liberté, Égalité, Fraternité…vengono da lontano, non le hanno pronunciate “comunisti sanguinari”, Cosacchi che volevano abbeverarsi nella fontana di Trevi.
Le hanno pronunciate commercianti, artigiani, intellettuali, operai oltre due secoli fa…urlate quindi in periodi non sospetti.
E poi abbiamo ancora una buona Costituzione…finché dura.
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Sandali in cuoio e suola in copertone d’auto

V:  Toglimi una curiosità: ai tuoi allievi parli o cerchi di farli avvicinare alla pesca, alla natura?
Mi spiego, hai avuto dei seguaci, sei riuscito in questi anni a farne appassionare qualcuno?


A:  Domanda importante e intelligente.
Nel liceo scientifico Copernico di Prato dove ho insegnato gli ultimi dodici anni ero nell’indirizzo linguistico e la maggioranza degli studenti erano ragazze che non avevano propensione per la pesca, ma con loro parlavo dei viaggi più interessanti: Alaska, Patagonia, Mongolia, Ovest americano, e ne venivano fuori delle lezioni con un po’ di storia, geografia umana, antropologia oltre che delle belle immagini proiettate sul muro. Erano ore divertenti per tutti.
A pescare però sono sempre andato o da solo o, il più delle volte, con pochi amici. I grossi numeri non mi sono mai piaciuti.
Essere in tre è sbagliato per stare insieme in una barca come per avere una guida.
Quattro in auto, con canne e bagagli, è impossibile. In due lo spazio è appena sufficiente.
E poi Valerio ho vissuto quasi sempre in case isolate. Non ho mai fatto parte di un club, tranne che per un breve periodo durante il quale abitavo e insegnavo a Prato.
Ecco, in quegli anni ho frequentato gli amici del Club di Prato, ai quali ovviamente non avevo nulla da insegnare.
Come pescavano…e come costruivano! Pescatori e costruttori assatanati e bravissimi!
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Ascension Island: tonno pinna gialla, il pesce della vita!

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Nativo che pesca i salmoni sul Bulkley (BC-Canada)

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Temoli artici in Mongolia

V:  Che altri hobby hai oltre la pesca?

A:  Da adulto, la bicicletta. Io e Sandra, che è stata una forte runner, abbiamo iniziato insieme circa 25 anni fa.
Partivamo da casa con le borse, il sacco a pelo, la tenda, il fornelletto, tutto stipato su di una bicicletta!
Abbiamo fatto tre volte il giro della Corsica, il Gargano, il Delta del Po e, come ti dicevo, buona parte delle ciclabili del Trentino.
Oggi faccio settimanalmente la ciclabile del Trasimeno e per arrivare sui poggi in quota mi sono preso una bici con la pedalata assistita e così ho rimesso indietro l’orologio biologico di qualche anno!
Se ci pensi la bici è uno strumento straordinario. Ti puoi fermare quando vuoi, fare fotografie, osservare il panorama, parlare con qualcuno o stare semplicemente in silenzio di fianco a un fiume. Unisce più cose insieme, come l’esercizio fisico a dei gran bei posti, spesso sugli argini di un corso d’acqua.
Da ragazzo invece, avendo tutta la famiglia di mio padre che la praticava, la caccia.
Mi coinvolgevano, dal capanno all’appostamento fisso. A trent’anni però ho smesso, non ce l’ho più fatta.
Invece la cosa che mi ha sempre appassionato è stata la fotografia. Ho pubblicato anche alcuni libri, prettamente fotografici.
A distanza di tempo, quando li guardo mi sembrano ancora dei lavori dignitosi come “Acque magiche” e quell’agenda dal titolo “Strade liquide”.
Con “Geometrie sul Trasimeno” invece ho voluto fare un libro non di fotografie classiche d’ambiente: mi sono concentrato sulle forme geometriche che la natura produce spontaneamente. Ho fatto molte foto anche ai manufatti umani che ho incontrato sulle rive di quel lago, sulle reti che in alcuni casi ho scoperto rientrare nelle forme armoniche della sezione aurea.
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V:  Oramai su Internet c’è tutto e tutto gratis per giunta.
Tu invece le esperienze te le sei fatte e continui a fartele sul campo e poi le traduci in scrittura, completamente controcorrente al mondo odierno.
Che mi dici a questo proposito?


A:  Certi benefici della rete sono indubbi, ma io appartengo, per generazione, all’epoca della meccanica, delle moto, delle bici, cioè a tutti quei mezzi dove riuscivamo a metterci le mani. Ti faccio un esempio: aprivi il cofano delle auto e vedevi l’asfalto, cambiavi le candele delle moto e ripartivi.
Adesso apri il cofano, se si apre, e l’unica cosa che devi sperare e quella di avere un cellulare carico, per chiamare aiuto.
Ci siamo arrivati tardi, ci siamo adeguati, con un po’ di fatica.
Ma se ci sei arrivato tardi a internet, anche se ti applichi, non arrivi mai alla capacità di questi giovani. Ovviamente uso il computer ma ho un telefono che non è per niente smart e non sono collegato ai social e non mi interessa postare in tempo reale quello che sto facendo.
Ultimamente, con il Covid, ho usato il computer un po’ di più. Ma la prima stesura dei libri continuo a scriverla con una stilografica e un quaderno.
I messaggini con tutte quelle abbreviazioni poi sono orrendi!
Con la scrittura le stesse cose le dici in maniera diversa, ci mediti, le correggi. Se ricevi una busta con una carta di un certo tipo è già segno che colui che ti sta scrivendo, ti vuole bene.
È un procedimento completamente diverso.

V:  Caro Alvaro, con me piove dove è bagnato. Alle mie belle figlie ho detto di scartare automaticamente gli spasimanti che le corteggiano su Whatsapp.
Che ci mettano la faccia…gli dico sempre!
E che sappiano almeno pescare, subito aggiungo!


A:  Se vuoi fare una ricerca seria non puoi solo affidarti a internet. La rete può essere un buon supporto, come cercare un volume in una biblioteca a Hong Kong. Dieci minuti e ce l’hai sotto gli occhi. Tempo addietro ti ci dovevi recare sul posto…e ci mettevi mesi a reperire informazioni.
Compro parecchi libri ancora…ho anche il Kindle per viaggiare.
Certo che consumare un po’ di cellulosa in meno mi farebbe piacere. Colgo l’occasione per fare un elogio alla piccola editoria. In questo sono stato fortunato, ho trovato degli editori che mi hanno sempre permesso di avere un iter che proprio mi piace.
Con Morlacchi, ad esempio, mi sono subito trovato a mio agio, ma non solo per la cura del manoscritto, insieme a lui e ai suoi giovani collaboratori scegliamo la carta, la dimensione, la rilegatura, la copertina, le foto e di alcuni, quelli fotografici in particolare, vado personalmente in tipografia durante la stampa. Li fermo spesso quando mi accorgo che c’è un viraggio di blu o di giallo non previsto.
Privilegio di pochi insomma!

V:  Spiegami una cosa: nel tuo ultimo libro, nel capitolo dei salmoni, descrivi un ragazzotto biondo che salpava i pesci spostando la canna sulla schiena. Come faceva?

A:  Purtroppo non l’ho fotografato. In parole povere, quando allamava un King, si portava la canna dietro le spalle e distribuiva lo sforzo della trazione sulla schiena, senza però compromettere la parabola della canna. Anche gli altri pescatori intorno a lui erano ammirati e talvolta, a certe sue acrobazie, partiva timido qualche applauso.

V:  Sei laureato in Storia economica. E’ da più di vent’anni che ci parlano della globalizzazione…come giudichi lo stesso fenomeno nella pesca a mosca?

A:  Io credo che come è avvenuta storicamente, non è quella che volevamo, non è quella che pensavamo che fosse, e penso che sia stato un fenomeno abbastanza negativo.
Nel senso che mettere in comunicazione tutto con tutti, in un periodo molto breve, lì per lì sembrava desse beneficio a tutti. Con pochi Euro andavi in ogni capitale europea in aereo, ad esempio. Ma ci siamo accorti che oltre ai benefici c’era anche molto altro, che benefici non erano per niente.
Gli operai portuali di Seattle (USA) furono i primi che nel novembre del 1999 boicottarono duramente lo svolgersi della Conferenza dell'Organizzazione mondiale del Commercio (OMC) occupandone la sede, perché furono i primi ad accorgersi che, facendo scomparire totalmente le barriere doganali, i grandi gruppi industriali mettevano in competizione, avvantaggiandosene, i salari dei paesi occidentali con quelli dei paesi emergenti, la Cina per prima.
Inoltre il nuovo credo economico voleva meno stato e più privato, a partire dai servizi principali come la scuola, la sanità, i trasporti. I risultati li abbiamo davanti e non mi sembrano soddisfacenti.
Abbiamo dato la stura al vaso di Pandora. Tutti gli indici che riguardano la qualità ambientale da cui dipende la qualità della vita si sono abbassati e questo è un dato sotto gli occhi di tutti, indubitabile e inconfutabile.
La frase “meno stato più privato” ha portato, ad esempio, una delle regioni più ricche d’Europa, la Lombardia, a passare un momento tragico.
Io sono convinto che il principio liberista in economia sia sbagliato nelle fondamenta, mentre bisognerebbe rivalutare un sistema partecipativo, inclusivo, di autogestione nella produzione, mentre nel consumo bisognerà per forza tornare ad una “frugalità felice”, ad accontentarci di quello che abbiamo che…non è poco!
La “crescita infinita” del Pil come di qualsiasi altra cosa non esiste in natura, è una nostra invenzione paranoica dalle conseguenze nefaste. Non lo dico io, basta rileggersi il discorso proprio sul Pil di Robert Kennedy pochi mesi prima che lo assassinassero.
Ricordo la famosa frase Thatcheriana “La società non esiste”…e guarda cosa sta succedendo in questo momento in UK.
Il mondo è guidato attualmente da chi ha in mano i grandi gangli della finanza e dell’economia.
Ma attenzione, la soluzione non è quella delle piccole patrie, (la disgregazione della Jugoslavia dovrà pure insegnare qualcosa) “dell’Italietta”, del ritorno alla Lira.
Non è un futuro proponibile, e ne sono convinto. Il luogo dove arrabbiarci e chiedere cambiamenti radicali è e rimane il tavolo di Bruxelles.
Non scordiamoci che l’Europa ci ha aiutato moltissimo, e che a livello competitivo dobbiamo aggregarci. Non possiamo competere da soli con la Cina, gli Stati Uniti, la Russia, etc…
Ma la domanda è un’altra. Con questa classe dirigente ci rimetteremo in piedi?

V:  Grazie Alvaro del tempo che ci hai dedicato. Aspetto il prossimo libro allora. Dai, dammi uno scoop!
E’ pronto? Come si intitolerà?


A:  Posso dirti una cosa Valerio. A questo punto della vita il discorso banale è “se hai qualche cosa da dire devi dirlo subito, altrimenti rischi di non dirlo mai più”. Approfittando di questa clausura forzata effettivamente sto scribacchiando qualcosa. Devo vedere se arriverà al termine, se piacerà all’editore.
Ora che siamo in inverno dedico comunque una buona parte della giornata alla lettura e scrittura, sperando poi in primavera-estate di occupare il tempo, finalmente, in altro modo.

V:  Ma tu Alvaro hai ancora molto da dire, me lo sento. Sai che sono stato e sono ancora un runner, quindi vorrei chiudere questa nostra bella chiacchierata con Sandra che corre sulle spiagge chilometriche di Cape Cod.

Masseini



Valerio BALBOA Santagostino
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